Intervista a Fabio Barilari

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Il casale si mimetizza: Parla il linguaggio del mondo circostante, Fabio Barilari Architetti Fabio Barilari Architetti Industrial style corridor, hallway and stairs
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Questa settimana vi presentiamo l'architetto italiano Fabio Barilari che ci ha gentilmente concesso un'intervista. I progetti di Barilari sono molto vari e spaziano dalle abitazioni agli uffici ed edifici culturali, dal design di interni alla pianificazione urbanistica e alla progettazione di complessi portuali. I progetti si contraddistinguono per una continua spinta all'innovazione dei concetti che ruotano attorno all'architettura. Con premi e pubblicazioni in tutto il mondo, vi invitiamo a visionare gli interessanti progetti dell'Arch. Barilari sulla sua pagina su Homify.it

Arch. Barilari, come nascono i Suoi progetti?

I progetti che sviluppo con il mio team, hanno scale di intervento che vanno dall’interior design alla realizzazione di aree urbane e questo implica che le committenze siano molto differenziate tra loro. Personalmente sono stato sempre interessato alla progettazione, nel senso più ampio del termine: per questo, mi appassiono allo stesso modo nel progettare un arredo di interni come un nuovo quartiere. Naturalmente, al cambiare della dimensione del progetto, cambiano le dinamiche di lavoro, le tempistiche e le professionalità in gioco e, naturalmente, una volta che impari a gestire la progettazione di interventi più complessi ed articolati, questo ambito, per la quantità di implicazioni che comporta, diventa una specializzazione a sè.

Da cosa o da chi trae ispirazione?

’Traggo ispirazione davvero da molte cose. Conta moltissimo la musica, che per me è alla base di ogni espressione creativa. In genere, cerco di mantenere attiva la capacità di osservare quello che mi circonda e posso rimanere colpito indifferentemente da un oggetto semplice, di uso quotidiano, così come da una pregiata opera architettonica di un maestro: naturalmente cambia lo studio successivo, l’approfondimento ed il rapporto che vi si instaura, ma dal punto di vista dello spunto creativo non fanno una grande differenza. Poi lavoro per mantenere una relazione a lungo termine con le cose importanti che incontro e che amo, per questo sono tutt’ora molto legato ai riferimenti principali che ho avuto nella mia formazione: posso citare, in particolare, ciascuno per un proprio peculiare motivo, Carlo Scarpa, Herman Hertzberger, Tadao Ando, Enric Miralles, Coop Himmelb(l)au, Samuel Mockbee. Poiché lavoro anche in altri ambiti artistici, la cosa si complica un po’, perché non posso non menzionare anche artisti come Rothko, Burri, il Rinascimento italiano, fino ad arrivare a Basquiat, Eva Hesse o McCurry, nella fotografia e Gipi, nell’ambito dell’illustrazione. Direi che in generale mi interessa moltissimo la ricerca, la ricerca formale, in modo particolare, ma non solo’.

Come sceglie i materiali da utilizzare?

In questo caso, tendo all’estremo opposto: in generale non sono molto interessato a sperimentare e ricercare sui materiali e gli oggetti di arredo. Tendo senz’altro a prediligere i materiali naturali, ma se trovo un elemento di design, un materiale o una soluzione di dettaglio tecnologico che mi interessano, mi piacciono, li ripeterei senza difficoltà, all’infinito. Naturalmente però, parlando di architettura, questo approccio deve poi trovare un piano di incontro con le esigenze della committenza, che è l’altra parte in gioco.

Abbiamo notato la Sua passione per l’illustrazione e la pittura. Crede ci sia una relazione tra questi modi di fare arte e il Suo lavoro?

Qualche volta, ma non sempre. Talvolta si tratta di mondi che viaggiano ciascuno in una propria direzione. Col tempo ho imparato a non forzarli a coincidere necessariamente, ma a permettergli di svilupparsi ciascuno secondo il proprio naturale percorso. In effetti, questa necessità di corrispondenza tra arti differenti è più un’invenzione dell’ultimo secolo. Una volta capito questo, ti senti anche molto più libero, dal punto di vista creativo. Poi, è chiaro, sono lavori che nascono tutti da me, per cui necessariamente avranno un comune denominatore, ma semplicemente non sono interessato a trovarlo e, ancora meno, a perseguirlo. Quello che mi interessa è mantenere la coerenza tra ciò sento e la qualità del prodotto finale, sia esso architettura o pittura o altro ancora.

Abbiamo osservato che nel Suo portfolio esistono molti progetti urbani, specialmente di zone portuali. Qual è l’approccio con questi tipi di progetti? Qual è il Suo rapporto con il mare?

Appartengo a quella categoria di persone che vorrebbero vivere in un posto di mare e spero sinceramente di riuscirci, prima o poi, Un piccolo aneddoto: scelsi di laurearmi con una tesi in progettazione che mettesse in rapporto l’architettura con il mare. La mia tesi ebbe un buon successo e venni chiamato a collaborare con due studi a Roma. Solo a distanza di alcuni anni con uno di questi studi, abbiamo cominciato ad ricevere incarichi di progettazione di aree portuali sempre più importanti, per cui mi sono ritrovato a lavorare esattamente nella direzione che avevo ricercato, ma per pura casualità, se si crede al caso.

Mi interessa moltissimo la progettazione urbana, perché è li che vai ad incidere più profondamente su quello che diventerà il vissuto quotidiano di tante persone. Questo impone—dovrebbe imporre—delle responsabilità enormi, su ciò che si progetta, si decide, si sceglie. Inoltre, una delle componenti peculiari insite nella progettazione a questa scala, è l’orchestrazione delle professionalità, in quanto si tratta di far collaborare differenti società, professionisti, esperti e bisogna far coincidere le necessità e le ambizioni di molti differenti gruppi sociali. Si tratta di un tipo di lavoro estremamente complesso e difficile, ma altrettanto interessante.

Che rapporto ha con la città di Roma?

Cosa devo dire? Difficile, terribilmente difficile. Fare, cercare di fare, l’architetto a Roma – e non il palazzinaro, quella è un’altra cosa— è un’impresa davvero ardua. Il problema è che certi giorni basta un giro in moto in alcune delle sue strade per farti stare davvero bene, perché ti appare in tutto il suo splendore: ti rimette in pace con il mondo, ma devi far finta di non pensare che professionalmente è solo un’illusione. Negli ultimi anni, sono state realizzati dei capolavori di architettura, è innegabile, tuttavia, l’idea che gli architetti possano incidere seriamente sulla qualità urbana, visto che parlavamo di questo tipo di interventi, è ad una distanza siderale dalla realtà delle cose e personalmente non vedo nemmeno l’ombra di un’inversione di tendenza, in questo senso. Quindi direi difficile e frustrante, professionalmente.

Siamo venuti a conoscenza di un Suo progetto in Germania, ci racconta qualcosa a riguardo?

’Si tratta di un progetto molto interessante, finanziato dal Goethe Institut sul tema dell’architettura delle biblioteche: in Germania, nel corso degli ultimi anni, sono state sviluppate una serie di architetture eccellenti in questo settore: cito, tra le tante, gli edifici di Herzog  & De Meuron a Cottbus, Norman Foster e Max Dudler a Berlino, Yi Architects a Stoccarda. Questi risultati sono frutto di strategie coordinate e di un sistema di concorsi molto ben articolato e gestito, dalla prima fase ideativa, fino alla conclusione della realizzazione. Lo scorso autunno ho visitato Berlino, Amburgo e Colonia per studiare ed illustrare diversi di questi edifici ed i risultati di questa fase saranno esposti a Lione in Francia nel prossimo Agosto. Contemporaneamente, abbiamo cominciato a studiare un progetto concept relativo a questo ambito, che spero di concludere entro l’estate per poterlo esporre in quella stessa occasione’.

La ringraziamo per la Sua cortesia.

Molte grazie a voi.

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